La Storia di Cana

la storia del nostro paese dal 1216 ad oggi…

Rivivi la storia del paese di Cana mediante ricostruzioni storiche, immagini d’archivio e foto d’epoca

A cura di Lauro Leporini

La prima menzione storica certa su documento di Cana risale all’anno 1216, in esso risulta citato come Rocham ad Canam in relazione alla divisione della contea fra i quattro fratelli Aldobrandeschi attribuita al conte Ildebrandino Minore. Compare, poi, nell’elenco delle baronie [1] nella quota di Ildebrandino XI, primo conte di Santa Fiora, nel 1274, col nome diCanam. Nel secolo XIII vantarono dei diritti sul castello di Cana i Domini di Cinigiano [2] e sul finire dello stesso anno sembra essere appartenuto alla nobile famiglia senese dei Tolomei.

 Nella seconda metà del secolo XIV risulta essere signore di Cana, Mei de Messere Dini dei Nobilibus de Cana, dei signori di Cinigiano. Questo, come risulta dal suo testamento del 7 ottobre 1374 [3], era vedovo di Milla figlia del conte Giovanni Aldobrandeschi di Santa Fiora, i due, in vita, ebbero dimora  presso il Chassaro di Cana [4], sito con ogni probabilità nella zona più alta ed antica del paese oggi denominata, portino. La loro unica figlia, Maria, sposò il conte Bernardo, rampollo del ramo cadetto dei conti Guidi di Battifolle, signori di alcuni esigui castelli nel Valdarno Superiore e nella Valle del Lamone in Romagna.

 Cana, passata (non sappiamo ancora bene in virtù di quali passaggi e/o successioni) ai conti di Battifolle, fu sottomessa a Siena nel 1381 [5] e nel 1410 [6] fu acquistata definitivamente dalla Repubblica di Siena. Per oltre sessant’anni il castello rimase pressoché disabitato, probabilmente a causa delle violente epidemie di peste che fin dal 1348 imperversavano in Italia, quindi il suo territorio fu sottoposto alla “Dogana dei Paschi” di Siena sotto il cd “Capo dei Biancani” [7], territorio accessibile solo dai pastori romagnoli.

 Nel 1476 alcuni rappresentanti di duecento coloni del contado di Modena e di Reggio Emilia capitolando con Siena, vennero a ripopolare Cana, obbligandosi a ricostruire, irrobustire e merlare, le mura, al cui interno dovevano costruire a loro spese: la chiesa, il palazzo comunale e le loro abitazioni, ricompensati, poi, dai senesi tramite sgravi ed agevolazioni circa l’uso delle cosiddette bandite e sull’acquisto del sale [8]. Nel 1486 Cana si dette il suo statuto [9]. Nel 1559, rimasta fedele al governo di Siena (anche nel periodo della cosiddetta “Repubblica Senese ritirata in Montalcino”, 1555-1559), fu inglobata nel granducato fiorentino retto dalla famiglia Medici,così come l’intero stato senese.

 Nel 1737 ai Medici succedettero i Lorena fino all’unità d’Italia. Questi nel 1783 abrogarono le piccole comunità annettendole alle maggiori e Cana fu inglobata con Cinigiano per poi passare dal 1787, definitivamente, nella comunità di Roccalbegna.

 Tra la fine del secolo XV fino alla fine del secolo XVIII, Cana conobbe il suo massimo splendore, infatti, sorsero i due borghi detti: “di sotto” e “di sopra”, quest’ultimo con la piazza, inoltre, fuori dal castello sorsero tre nuove chiese: la chiesa della Madonna del Rosario (primi del ‘500), che venne dedicata,all’inizio del secolo XVII, a San Martino di Tours, storico patrono di Cana [10], situata fino ad allora all’interno del castello, elevata al rango di pieve nel 1532, divenendo così la nuova ed attuale chiesa parrocchiale del paese; la vecchia chiesa di San Martino fu dedicata al “Corpus Domini” e soppressa nella metà del secolo XIX. La chiesa della Madonna del Conforto, della fine del ‘400, al cui interno è ben conservato un pregevole dipinto su tavola della Mater Dei proveniente dalla scuola senese del tardo cinquecento, eseguito in stile “Manierista” dal gusto beccafumiano, alla cui origine vi è una bella leggenda religiosa tramandata nei secoli dai canesi più anziani.

Il romitorio di San Pellegrino (eremita scoto), del 1517, eretto nelle campagne a Sud-Ovest del paese, oggi è ormai un rudere. Il culto ha origine nel millenario ospedale-santuario dei santi Pellegrino e Bianco, sito tutt’oggi sull’Appennino tosco-emiliano in diocesi di Lucca. In Cana questo culto fu sicuramente portato dai coloni di Modena e di Reggio Emilia, poiché in queste città il culto del Santo è storicamente assai sentito e il   paese di Cana possiede la particolarità di essere stato l’unico centro a livello provinciale a venerare il Santo.

 Nei secoli XVII e XVIII è documentata l’esistenza presso il “borgo di sotto” di una fatiscente stanza usata come ospedale della comunità alle dipendenze dell’Ospedale della Scala di Siena.

 Nel 1611 fu eretta la “Cisterna medicea” al centro della piazza del paese, le sei sfere che la coronano simboleggiano lo stemma della famiglia Medici, cuore, anima e simbolo della nostra comunità, presentava un sistema di rifornimento, che si avvaleva della raccolta dell’acqua piovana dai tetti delle case della piazza, del castello e del “borgo di sopra”. L’acqua che dai tetti scolava dentro le gronde andava a finire tramite tubi verticali in una fitta rete di tubature sotterranee in terracotta collegate al serbatoio della “cisterna”.

 Nelle fertili campagne a Nord-Ovest del paese di Cana si erge, sopra un rilievo calcareo, la notevole e suggestiva fattoria fortificata del Castagnolo. Questa struttura nel secolo XI fu un fortilizio ove risiedette: Lamberto de Castagnolu, feudo di Ranieri dei signori di Scutellano, che nel secolo XII fu con ogni probabilità una delle 18 “mansio” nella corte della Pieve di San Giovanni del Ballatoio, sita nel territorio di Stribugliano, alle dipendenze del monastero di sant’Ambrogio di Monticellese di Siena. Alla fine del secolo XIII fu un possedimento dei signori senesi Ardengheschi. Nei seguenti due secoli se ne perdono le tracce ed è, forse, in questo periodo che al Castagnolo nacquero due leggende, quella legata all’esistenza di un misterioso cunicolo che dai sotterranei conduceva, per molti chilometri in direzione est e di un diabolico trabocchetto, presente nel fortilizio, voluto da “Pietro Pinca”, tirannico signore del Castagnolo spesso in lite con il “Gran Cane”, paternalistico feudatario di Cana. Nei sotterranei dell’edificio esistono due piccole stanze sovrapposte, scavate nella pietra da tempo immemorabile, contrassegnate al centro dei corrispettivi solai e conosciute come: “buca di Pietro Pinca”[11] o il trabocchetto. In realtà questi spazi sembrano essere stati i locali di un granaio ipogeo tipico toscano. Un sistema di immagazzinamento e conservazione dei cereali conosciuto sin dall’epoca romana e rimasto in uso fino alla fine dell’ottocento. Almeno dal XVI secolo per circa quattro secoli il Castagnolo divenne, prima, proprietà di varie famiglie nobili senesi e poi di vari privati.

 Dal 1938 fino alla riforma agraria dei primi anni ’50, il Castagnolo appartenne alla società mineraria Valdarno, storica concessionaria delle miniere di lignite (carbone fossile) presenti nella valle del torrente Trasubbie, fra il territorio di Cana e quello di Baccinello (Comune di Scansano), attiva dal 1917-18 al 1958, anno della dismissione delle miniere. In una di queste coltivazioni, posta sul confine delle frazioni di Baccinello e Cana, nel 1958 fu rinvenuto, entro un  blocco di lignite, l’intero scheletro fossilizzato di un primate, una scimmia antropomorfa di circa 8 milioni di anni fa della specie, “OreopithecusBambolii”, al quale è stata dedicata una sezione permanente presso il museo di storia naturale della Maremma in Grosseto.

 NOTE

[1]: Con questo termine, diffusosi a livello locale nell’ultimo quarto del secolo XIII, il Collavini inquadra questa categoria di rapporti feudo-vassallatici (divenutone un modello di punta fra le signorie allodiali e poi di banno; n.d.r.) come, “feudi di signoria” (termine tecnico usato e diffuso da Giovanni Tabacco). Si tratta cioè di:  (…) “dominatus loci” (distretti territoriali; n.d.r.) controllati da antiche famiglie signorili maremmane sottomesse agli Aldobrandeschi, da cui costoro riconoscevano di ripetere i diritti giurisdizionali (…). Le baronie furono usate dagli Aldobrandeschi pure come uno strumento teso ad integrare (…) potentati sviluppatisi autonomamente, sebbene i rapporti con i conti di alcune delle famiglie di “domini” risalissero all’inizio o almeno alla metà del XII secolo e benché tali rapporti non fossero stati assolutamente secondari nello sviluppo e nell’affermazione delle loro prerogative signorili. (…). Fonte: “Honorabilis domus et spetiosissimuscomitatus” : gli Aldobrandeschi da “conti” a “principi territoriali” – secoli IX-XIV – , Simone M. Collavini, ETS. 1998, pag. 457. Parimenti, con le parole di Farinelli: (…) i castelli sui quali i conti esercitavano prerogative di “baronia” (dopo aver investito a titolo feudale dei relativi diritti altri soggetti signorili) (…); fonte: I castelli nella Toscana delle “città deboli” -Dinamiche del popolamento e del potere rurale nella Toscana meridionale (secoli VII-XIV)- , Roberto Farinelli, All’Insegna del Giglio, 2007, pag. 193.

Vedere inoltre la voce; Feudalesimo, Enciclopedia delle Scienze Sociali (1994) di Giovanni Tabacco, da: feudalesimo in “Enciclopedia delle scienze sociali”-Treccani.htm .

[2]: Nella seconda metà del XIII secolo Soffreduccio di Bernardino di Cinigiano, agendo dalla curia di Cana, confermò una donazione; fonte: Farinelli, I castelli nella Toscana delle città deboli, 2007, c.d. allegato, sito n. 36.3, Cana (Com. Roccalbegna, GR). Il Collavini nel suo libro, “Honorabilis domus et spetiosissimuscomitatus”: gli Aldobrandeschi da “conti” a “principi territoriali” – secoli IX-XIV -; Pisa, ETS 1998, pag.: 239, 245, 251, 252 e nota 79, 459, 460, 540 e nota n° 99 e 550, afferma che i domini di Cinigiano, il cui capostipite fu un certo, Stratumen, figuravano fra i più importanti vassalli degli, Aldobrandeschi. Bernardino I, nell’anno 1164 fu nominato dagli Aldobrandeschi, vicecomes e membri della stessa famiglia apparirono, fino agli anni venti del secolo XIII, come testimoni in molti importanti atti notarili degli aldobrandeschi. I signori di Cinigiano, inoltre, erano inseriti nel domino degli Aldobrandeschi anche mediante accordi di fidelitas; fonte: I castelli nella Toscana delle città deboli -dinamiche del popolamento e del potere rurale nella Toscana meridionale (secolo VII-XIV) di Roberto Farinelli, All’Insegna del Giglio, 2007, vedere c.d. allegato al libro: voce, Cana (Com. di Roccalbegna, GR), sito n. 36.3; Cinigiano, GR, sito n. 14.1; Stribugliano (Com. Arcidosso, GR), sito n. 2.4; Roccalbegna (GR), sito n. 36.1 e Pietra (Com. Roccalbegna, GR). Scrive il Collavini: (…) godettero di notevoli poteri giurisdizionali sulla popolazione rurale; ma la loro principale risorsa, accanto alla percezione dei proventi signorili, consistette nell’affitto dei pascoli del loro dominato e nella protezione garantita al bestiame che vi si recava. (…). A tal proposito il Collavini riporta l’interessante episodio descritto negli Annales di Marangone, il quale riporta che nel 1172, Bernardino da Cinigiano, in ribellione al suo signore, Ildebrandino VII Aldobrandeschi, catturò le pecore garfagnine affidate alla sua custodia. Allorché, Ildebrandino VII onde riportare all’obbedienza il vassallo e recuperare il bestiame, ricorse all’aiuto delle milizie dei pisani, addirittura, assediando e sottomettendo Cinigiano.

Nei primi anni del secolo XIII: (…) il conte (Ildebrandino VIII) aveva il diritto di fissare i prezzi, di limitare o impedire la vendita del sale da parte degli abitanti della contea e deteneva il monopolio della vendita al dettaglio, rispetto al quale sembra valere la sola eccezione dell’area infeudata ai signori di Cinigiano: (…), cioè, (…) Guglielmo di Cinigiano avrebbe potuto comprare 60 moggi di sale a un prezzo inferiore alla norma di 2 denari il moggio, probabilmente per poi rivenderlo nelle proprie signorie.(…). Il Collavini, sostiene in definitiva, che all’inizio del secolo XIII, i domini di Cinigiano abbiano vantato diritti anche su Cana e Stribugliano, insieme ai loro congiunti, i signori di Roccalbegna. Anche Nello Nanni nel suo libro, Il castello di Arcidosso e la valle dell’Ente nella formazione dell’Amiata medievale, tipografia Ceccarelli, 1999, pagg. 86 e 88,afferma che Stratumen, capostipite dei signori di Cinigiano, sia ancor prima appartenuto alla famiglia dei signori di Scutellano, soprattutto in base al fatto che: (…) l’ultima citazione dei signori di Scutellano (Bernardo e Guido nel 1094) precede di pochi anni la comparsa dei signori di Cinigiano (Stratumen nel 1121) (…).  Afferma, inoltre che Stratumen sia stato il padre di Bernardino I (il vicecomes) ed in linea con il Collavini anch’egli suppone che i signori di Roccalbegna, Stribugliano e Cana siano appartenuti alla stessa famiglia dei signori di Cinigiano, così come alcuni dei signori di Castiglioncello Bandini succedutisi negli anni.

 [3]: Diplomatico Resti Ecclesiastici-Compagnie, casella n°1043, testamento del 07 ottobre 1374.  Ipotizzo, leggendo il suo testamento, che Meio possa essere stato un discendente dei domini di Cinigiano.

Si ha anche notizia di un certo Dino di Messere Dino da Cinigiano che nel 1331, già alleato con Guido, Enrico e Stefano conti di Santa Fiora, contro il Comune di Siena, pentitosi poi della scelta si alleò con Siena. Questa di conseguenza obbligò gli Aldobrandeschi a stabilire la pace con essa stessa e con tutti i suoi alleati; fonte: Memorie storiche , politiche , civili e naturali delle terre e castella, che sono e sono state suddite della città di Siena, Giovanni Antonio Pecci, A.S.Siena, ms D.68, pag. 480.

Meio, inoltre, secondo quanto riportato nei lasciti, composti anche da alcune corazze, pezzi d’armatura, armi, cavalli e relative bardature, descritti nel suo testamento, sembra essere stato un cd “uomo d’armi”. Oltre che essere signore assoluto di Cana, fu anche signore di Cinigiano (suo fratello Bernardino all’epoca del testamento era già morto e suo figlio Antonio, sotto la sua podestà, senz’altro orfano anche di madre, non aveva ancora 18 anni, non poteva cioè succedergli) sembra essere stato anche il proprietario del castello di “…Vicho…” (rigo 28°), tutt’oggi esistente, chiamato Vicarello nel Comune di Cinigiano, aveva poi alcune “…ragione…” (diritti)in Stribugliano (rigo 39) e possedeva, (rigo 72°) “…el colto…” ovvero delle terre coltivate ed altri irrilevanti beni in Roccalbegna, si legge (rigo 31°) che possedeva un “…casamento di Siena…”. Inoltre, si raccomandava (rigo 119° e 120°) con i suoi “…fedeli commessari…”“…che adomandino e riceuano…” “…-LX- fior doro…” “…dal Passchuto e da Cambio signori de Paschi di Siena che furono MCCCLXXIII…” “…per una vendita che lofeci de miei paschi di Cinigiano e Chana e Stribugliano…”. E’ strabiliante scoprire inoltre che Meio abbia vantato buoni rapporti con la famiglia alto laziale dei Farnese, si legge ai righi 140, 141 e 142: “…Elasso che quando el Comune di Siena volesse torre o achapare niuna ragione per forza dal sopradetto Antonio mio nipote etiandio / dando denari saluo non fusse di concordia de sopradetto Antonio o suoi tutori inscritti a dietro Lassochel detto Antonio rimangha figliuolo / dela Santa Chiesa E sia tenuto di fare quello che ala Chiesa fanno e figliuoli di Cola di Farnese …” . Infine, si legge ai righi 148 e 149: “….Elasso che infino chel sopradetto Antonio sia inetacio nel tempo di . XVIII . anni che sia suo tutore e amministatore Ranuccio di Chola / [da questa riga la pergamena è mutila e della frase si leggono solo le seguenti parole] (…) da Cinigiano Ese per caso di morte auess [pezzettino mancante] sso per iscambio di Ranuccio Puccio [qui finisce la frase e la pergamena] …”. Mi sembra chiaro che si tratti proprio di Ranuccio e di Puccio, due figli di Nicola (Cola) Farnese, nati nei primi decenni del secolo XIV. Fonte: Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XLV Farinacci-Federigo, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma, 1995, pagg.: 136-139, voce: Farnese, Pietro (Petruccio).

[4]: Per affermare quanto segue mi sono attenuto ai concetti espressi in Castelli e villaggi nell’Italia padana -popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo- di Aldo A. Settia, Liguori Editore, 1984, pagg. 381 e 383, 384 e si può dire che si parla di “ dongione nei documenti nord italiani dei secoli XII e XIII come un ridotto ulteriormente fortificato, posto all’interno del castello e contenente a sua volta una pluralità di edifici; in esso è la residenza del signore o comunque la sede del potere che detiene la fortezza; si evita quindi che vi abbiano ingerenze gli estranei, ed è l’ultimo ridotto ad essere espugnato.”. Il Settia afferma pure che: “Un’ equivalenza analoga a quella esistente fra dongione, cassero e girone si stabilisce anche con “rocca” quando con questo vocabolo si indica una parte del castello autonomamente fortificata.”. Inoltre Settia ci informa che: ”in sua vece (del dongione; n.d.r.) si diffonde in Toscana, sul finire del secolo XII la voce cassarum, che si può dire del tutto equivalente.”

Testimoniano l’esistenza  in Cana di una rocca prima e di un cassero dopo i seguenti documenti:

1.    Il documento di divisione del contado fra i quattro fratelli aldobrandeschi sottoscritto sotto l’auspicio del Comune di Orvieto nell’ottobre del 1216. Nel documento originale si parla di Rocham ad Canam (sotto la quota di Ildebrandino Minore) cioè, Rocca di Canae nonRoccham ad Canem (Rocca al Cane) come notoriamente conosciuto. Il termine farebbe alludere all’esistenza di una rocca distinta dall’abitato di Cana.  I castelli nella Toscana delle “città deboli”, Roberto Farinelli,Fondazione Monte dei Paschi di Siena -Progetto “Archeologia dei Paesaggi Medievali”, All’insegna del Giglio, 2007;vedere cd-rom allegato: sito n° 36.3, voce: Cana  – Com. Roccalbegna – .

2.    Archivio di Stato di Siena: diplomatico patrimonio dei resti ecclesiastici Compagnie n°1043, documento testamentario di Meio di Messere Dino dei Nobili di Cana del 7 ottobre 1374. Si parla di …chassaro… .

3.    A.S.Siena: Capitoli III, voce: Cana, ottobre 1381, documento di sottomissione di Cana a Siena. Si parla di: ….castrum (centro abitato cinto di mura)cassarum et fortilitias (edifici militari fortificati; in campagna venivano usati come rifugio quando la popolazione era in pericolo).

4.    A.S.Siena: Consiglio Generale n° 204, Cana, aprile 1410, documento d’acquisto definitivo del nostro paese da parte della Repubblica di Siena. Si parla di: …fortilitium et castrum…

5.    A.S.Siena: Concistoro 2124, Cana, anno 1412, lettera ai priori e al capitano del popolo della Repubblica di Siena dei due castellani senesi in Cana. Si parla di: …cassari…cassaro…cassarum…in aperuit incidere murallias et fortilitiasdicti loci… .


Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.”

CESARE PAVESE